Pace, sviluppo, democrazia423


Lo stato di pace tra uomini assieme conviventi non è affatto uno stato di natura (status naturalis), il quale è piuttosto uno stato di guerra nel senso che, se anche non si ha sempre uno scoppio delle ostilità, è però continua la minaccia ch'esse abbiano a prodursi. Lo stato di pace deve dunque essere istituito, poiché la mancanza di ostilità non significa ancora sicurezza, e se questa non è garantita da un vicino ad un altro (il che può aver luogo unicamente in uno stato legale) questi può trattare come nemico quello a cui tale garanzia abbia richiesto invano. […]
Siccome ora in fatto di associazione (più o meno stretta o larga che sia) di popoli della terra si è progressivamente pervenuti a tal segno, che la violazione del diritto avvenuta in un punto della terra è avvertita in tutti i punti, così l'idea di un diritto cosmopolitico non è una rappresentazione fantastica di menti esaltate, ma una necessaria integrazione del codice non scritto, così del diritto pubblico interno come del diritto internazionale, al fine di fondare un diritto pubblico in generale e quindi attuare la pace perpetua alla quale solo a questa condizione possiamo lusingarci di approssimarci continuamente.

(Immanuel Kant, Per la pace perpetua, 1795)


La fine della storia ha presto dissolto le sue stesse illusioni di pace perpetua. La rottura dell’equilibrio del terrore ha aperto invece una nuova fase, dominata da un’apparente forma stabilizzata dell’equilibrio di potenze424, corretta con la presenza di macroattori regionali: in una sorta di riedizione globalizzata del vecchio “equilibrio europeo”425.
La nuova tendenza alla globalizzazione426 lungi dal produrre quella stabilità che il neoliberismo teorizza, sta invece generando nuove ondate di concentrazioni e prime reazioni protezioniste427. L’ambiente in cui si sviluppa quest’integrazione mondiale dei mercati, vede la presenza all’interno di un contesto imperiale428 – orientato all’instabilità – di un sottosistema di macroattori regionali in potenziale quando non reale competizione. L’esperienza delle guerre regionali ha in realtà accompagnato il riposizionamento dei vari attori mondiali attorno alla potenza unipolare: l’“azione di transito degli Stati Uniti”429 dall’Europa al Pacifico.

Lo scenario attuale vede gli USA attivi su due livelli. Un equilibrio del terrore in forma attenuata che concede, quindi, spazi maggiori all’instabilità; a forme di guerra asimmetrica430. Al cui fine è essenziale il mantenimento del ruolo di superpotenza tattica e non solo strategica431. A cui si lega lo sforzo tecnologico generale, proprio della terza rivoluzione industriale432, di ricostituire il gap con le potenze emergenti e mantenere la superiorità economica oltre che militare433. Nelle tre fasi: Dell’economia dell’informazione; Del controllo delle fonti energetiche434; Della riconversione delle sistema produttivo alle nuove tecnologie a basso impatto ambientale.

La crisi del multilateralismo, da cui potrebbe derivare un nuovo ciclo populista435 – e che accompagna frattanto il ritorno, sotto forma di grande petrostato, della profezia di Brzezinski sulla “perennità dell’antagonismo Est-Ovest”436 – ha investito la già in atto crisi del processo d’integrazione europea. La crisi dell’UE come entità multinazionale – del suo processo d’integrazione politica – trova la sua ragione, al di fuori dei fattori di pressione esterna437, nel riproporsi ciclico dello scontro tra le tre visioni di Unione: Mercato continentale (inglese)438; Modello neoimperiale tedesco439; Europa delle nazioni gollista440.

L’Italia come parte di questo sottosistema europeo, ha vissuto all’inizio degli anni Novanta la crisi dell’economia statizzata e del proprio sistema politico che a questa si appoggiava. Dalle privatizzazioni441 e dalla fine della svalutazione concorrenziale, seguita all’introduzione della moneta unica, è derivata quell’indispensabile ristrutturazione-riconversione del sistema produttivo442. Un cambiamento che, come ovvio, non ha solo ricadute di tipo economico: la scoperta della media impresa come punta innovativa e competitiva443 del Paese, potrebbe favorire la crescita di un’altrettanto indispensabile nuova classe tecnocratica444 e politica.
Con l’89 si è posta per l’Italia, come per gli altri attori, la necessità di una ricollocazione internazionale; rispetto allo scenario regionale-subregionale europeo e mediterraneo. La necessità di superare quell’autoridimensionamento antinazionale445 fondato e su cui si era fondata l’opzione atlantica. Sul doppio vincolo: economico dell’ “interdipendenza-dipendenza446 dagli Stati Uniti, e quello della sicurezza politico-militare, fondato sulla copertura/protezione fornita ancora una volta dalla extended deterrence degli Stati Uniti”447. Schema multilaterale predeterminato e bilaterale-residuale che comportava una limitata difesa dell’ interesse nazionale: per le questioni riguardanti integrità territoriale e a beneficio di una limitata azione verso l’ “insieme mediterraneo e le sue aree di rispetto”448, eccezion fatta per alcune sbavature449, in concordanza con la politica atlantica.
Una riformulazione della cultura della difesa450 – in assenza europea, demandata alle strutture NATO451 – che tenga conto anche del mutato quadro ideologico452 in cui agiscono gli USA e proceda alla risignificazione di una così stretta alleanza. Un’assunzione di responsabilità che è passata e sta passando attraverso la controversa e manifestamente ambigua453 partecipazione, in scenari e contesti diversi, dei contingenti italiani alle missioni di pace454. Iniziative che la diplomazia italiana ha cercato di incanalare all’interno di una tradizionale strategia multilateralista. Di cui del resto è erede tutta la retorica della guerra umanitaria.
Una strategia che tende timidamente a riformulare l’interesse nazionale455, uscendo da una sorta di complesso delle mani nette. Seguendo la metafora della terza guerra mondiale di Incisa di Camerana, dopo aver vinto la guerra l’Italia non sarebbe in grado o non vorrebbe assumerne il ruolo. Ma le guerre iugoslave456 e l’intensificarsi delle correnti migratorie, hanno reso nel corso degli anni Novanta ancor più manifesta questa necessità.
Ridefinire l’interesse nazionale, può significare cogliere l’occasione di sanare i lati più oscuri dell’identità nazionale; completare la mutazione di senso-significato della parabola irredentista. Sublimata negativamente nel fascismo di frontiera457 coloniale, si era chiusa con la sconfitta e la separazione dei territori istriano-dalmati. Si era prodotta così quella rimozione collettiva – e appropriazione mitica delle frange nostalgiche458 – come parte delle guerre fasciste che ha attraversato indenne Osimo459 e il ritorno sotto le insegne di pace di truppe italiane nei Balcani460.

Al contempo, parafrasando Viesti, il ritorno dei vicini461 ha significato il ritorno dell’Italia in quel settore – da cui i rapporti di forza e le tragiche vicende storiche l’avevano espulsa – anche sotto le insegne dell’interesse nazionale. Nonostante e proprio grazie alla trasformazione della struttura produttiva del Paese462, con l’inorientamento della produzione e delle esportazioni l’Italia ha assunto un ruolo primario463 nell’ Europa orientale e nei Balcani.
Luogo in cui si sta verificando un’altra mutazione non meno determinante: da un’assenza di strategia nazionale – ricondotta in passato a sommatoria di singole azioni, imprese, associazioni imprenditoriali, amministrazioni locali – si è prodotto il passaggio ad una visione sistemica464. Avviato un “processo di integrazione multinazionale”, i Balcani sono divenuti il luogo di “un avamposto competitivo”, di “un difficile ma possibile riposizionamento strategico delle produzioni del Made in Italy”465.

Non estranea ad un’altra visione sistemica, quella del Patto di stabilità466: nella sua veste di strumento di coordinamento regionale per la stabilizzazione e l’accesso all’integrazione467.
Nel momento in cui Prli? ha posto le ragioni economiche dei conflitti interetnici in Jugoslavia468, nella carenza delle ragioni di scambio interne alla regione469, l’appeal economico dell’Unione acquista ben altri significati che non l’accesso ai fondi. L’accesso al club470 europeo, la pacificazione dell’Euroslavia471 (dei Balcani Occidentali) nell’UE, non può che passare attraverso la normalizzazione delle relazioni economiche interne472; proprio ciò che l’integrazione dell’intera regione e l’avvicinamento ad essa significherebbe473.



423 Cfr. Jadranko PRLIĆ, Fuga dalla storia. Il paradigma pace-sviluppo-democrazia nel post-comunisto e nei dopoguerra dei Balcani, CLUEB, Bologna 2000.
424 John MEARSHEIMER, The tragedy of great power (2001) ed. it. La logica di potenza. L’America, le guerre, il controllo del mondo, Università Bocconi ed., Milano 2003; Ibid., Realism, the real world, and the academy in Michael BRECHER-Frank P. HARVEY (ed.), Realism and institutionalism in international studies, The University of Michigan Press, Ann Arbor 2002, pp. 23-33, 1/4/06, http://mearsheimer.uchicago.edu/pdfs/A0029.pdf.
425 Cfr. Manifesto di Ventotene, agosto 1941: “Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi, né di può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova è apparso evidente che nessun paese d'Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e i patti di non aggressione. È oramai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo la Società delle Nazioni, che pretendano di garantire il diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc:, che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie”; STORENO (Ernesto Rossi), Gli Stati Uniti d’Europa. Introduzione allo studio del problema, Nuove Edizioni di Capolago, Lugano 1944. Cfr. Francesco ROSSOLILLO, La contraddizione tra sovranità nazionale e dimensione del processo produttivo in Il federalismo e le grandi ideologie. I rapporti del federalismo con liberalismo, democrazia e socialismo, “Il federalista. I problemi della lotta politica nella società moderna”, 1989, 25, pp. 15-18: “Il processo di aumento dell'interdipendenza in estensione, dopo aver creato i mercati nazionali, continuava ad esercitare la sua azione, spinto dai continui progressi della tecnica e dell'organizzazione del lavoro (taylorismo), in direzione di una crescente interdipendenza tra le economie nazionali e della creazione di mercati di dimensioni continentali. Ma, mentre poteva produrre indisturbato i suoi effetti negli Stati Uniti, esso trovava in Europa l'ostacolo costituito dalla dimensione nazionale degli Stati. Si trattava di un ostacolo insormontabile a quell'epoca perché la permanente minaccia all'indipendenza, e alla stessa sopravvivenza, alla quale gli Stati del continente erano esposti a causa del carattere strutturalmente instabile dell'equilibrio europeo, faceva, per ciascuno di essi, dell'autosufficienza economica un irrinunciabile fattore di sicurezza. Nessuno Stato che si fosse trovato, a causa dell'accresciuta divisione internazionale del lavoro, in condizione di dipendere da approvvigionamenti provenienti dall'estero per i beni strategicamente essenziali avrebbe avuto la benché minima possibilità di vittoria in caso di guerra. Fu questa la radice del protezionismo, cioè del fenomeno che, a partire dai primi anni del secolo, e in seguito in misura sempre più accentuata, portò a gigantesche distorsioni e ad una progressiva contrazione del commercio internazionale. Iniziava così la decadenza storica dell'Europa e la perdita progressiva della sua funzione di perno dell'equilibrio politico ed economico internazionale a beneficio delle due potenze laterali di dimensioni continentali, che fino a quel momento avevano giocato un ruolo marginale rispetto all'equilibrio europeo: la Russia e gli Stati Uniti d’America. […] L'idea di una rinuncia volontaria alla sovranità nel quadro di un patto federale tra gli Stati europei appariva quindi inconcepibile. La sola via d'uscita dalla contraddizione che pareva allora praticabile era quella dell'allargamento del mercato attraverso l'espansione imperialistica dello Stato nazionale”.
426 Cfr. Tony SPYBEY, Globalizzazione e società mondiale, Asterios, Trieste 1997; Giovanni ARRIGHI, Globalization and historical macrosociology in Janet ABU-LUGHOD (ed.), Sociology for the Twenty-First Century. Continuities and Cutting Edges, Chicago University Press, Chicago 2000, pp. 117-133. Cfr. Jean-Christophe SERVANT, La multinationale du XXIe siècle. Petites mains du Sud pour firme du Nord, “Le Monde Diplomatique”, gennaio 2006; Andrew BIBBY, The wal-martization of the world: UNI’s global response. Union Network International Report march 2005, 1/4/06, http://www.uniglobalunion.org/UNIsite/Sectors/Commerce/Multinationals/Wal-Mart_UNI_Report_Walmartization_2005.htm. Cfr. Nota 11.
427 Cfr. Ettore LIVINI, Enel, Borsa e utility locali il governo torna regista. Dalle Autostrade ad Alitalia e alle tlc nasce il colbertismo dolce dell’Unione, “La Repubblica”, 7 agosto 2006; Jean-Philippe MIGINIAC, Patriotisme économique: quelle expection française?, “Strategic Road”, 7/12/06, http://www.strategic-road.com/pays/analysis/071206_patriotisme_economique.htm; Pascal Bruckner, Francia. Altro che grandeur, qui siamo al declino in La stagnazione europea, “Emporion”, 2004, 40; Bernard CARAYON, Intelligence économique, compétivité et cohésion sociale. Rapport au Premier ministre, giugno 2003. Cfr. Bernard CARAYON, Patriotisme économique. De la guerre à la paix économique, Rocher, Monaco 2006; Olivier PASTRÉ, La méthode Colbert. Ou le patriotisme économique efficace, Perrin, Paris 2006.
428 Cfr. Stefano LATINI, Supervenezia, o la riscoperta della colleganza in L’impero senza impero, “Limes”, 2004, 2, pp. 75-88; Giovanni ARRIGHI, Hegemony Unravelling, “New Left Review”, 2005, 32-33, pp. 23-80, 1-34. David HARVEY, Crisi dell’egemonia americana e nuovo imperialismo, “Critica Marxista”, 2003, 2, pp. 45-54, 1/4/06, http://www.criticamarxista.net/articoli/2_2003harvey.pdf; Emmanuel TODD, Après l’empire. Essai sur la décomposition du système américain, Gallimard, Paris 2002, pp. 75-96 (cap.3, “La dimension impériale”). Cfr. M. HARDT-A. NEGRI, op. cit.; Gore VIDAL, La fine dell’impero, Editori Riuniti, Roma 1992, pp. 73-85 (Cap. VI, “La caduta dell’impero americano”); Domenico LOSURDO (et. al.), Dal Medio Oriente ai Balcani: L’alba di sangue del secolo americano, La Città del Sole, Napoli 1999, pp. 9-45; Alberto ASOR ROSA, La guerra, Einaudi, Torino 2002, pp. 155-170 (“La guerra umanitaria. Kosovo e Serbia, 1999”); Immanuel WALLERSTEIN, Alla scoperta del sistema mondo, manifestolibri, Roma 2003.
429 A. PEPE, op. cit., pp. 143-149: “Riunificazione tedesca, disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa, Guerra del Golfo, crollo dell’Unione Sovietica, crisi balcanica costituiscono uno scenario che va letto e interpretato congiuntamente. […] La periodizzazione è esattamente quella compresa tra l’89 e il ’91. È nell’arco di quel triennio fondamentale che lo scenario geopolitico, per effetto dell’azione del protagonista principale, si mette in movimento e rimescola gli elementi che portano alla nuova configurazione. […] Gli Stati Uniti stanno decidendo lo spostamento strategico dei loro interessi e del loro baricentro sul Golfo Persico, e lo decidono in maniera mirata perché sono assillati dal problema del Giappone, dall’urgenza di ristabilire, alla fine degli anni ’80, un controllo decisivo sull’area del Pacifico. Il loro obiettivo è quello di ridimensionare drasticamente la potenza economica giapponese, agendo congiuntamente sul predominio navale e marittimo e sul controllo delle rotte del petrolio, che aveva seriamente minacciato la leadership americana nella transizione all’era postfordista. […] Il Giappone da potenziale seconda o prima potenza economica mondiale rischia di divenire, anzi diviene rapidamente un gigante malato, arresta la sua spinta espansiva. […] La Germania assume di fatto il ruolo di potenza delegata dagli Stati Uniti a divenire il punto di stabilità della costruzione europea. I due fenomeni sono fondamentali: spostamento sul Golfo Persico e ascesa della Germania a ruolo di nazione Europa. Contemporaneamente, e per effetto di entrambe queste azioni, la Russia è colpita da progressiva paralisi politico-diplomatica e si disgrega. […] Il terzo punto concerne dunque le guerre balcaniche degli anni Novanta che appaiono come il risultato di due forze. Per un verso sono il frutto dell’azione di transito degli Stati Uniti nel loro spostamento geopolitico e, per un altro, sono il risultato del riaffiorare, in tempi imprevedibilmente rapidi, del riflesso storico condizionato della geopolitica tedesca. […] La disgregazione balcanica apre il varco storico per la ripresa della strategia di connessione tra mar Baltico e mar Nero come asse della prospettiva dell’Europa tedesca. […] I Balcani divengono, con la Turchia, il confine del nuovo contenitore, ipotizzato dagli Stati Uniti, che ha come baricentro il Golfo Persico e il Caspio, posti in collegamento con l’Asia centrale, nell’intento di aprirsi un varco verso la Russia siberiana e l’Asia continentale cinese”. Cfr. Eric GÜNTZ, Les raisons de l’intervention internationale en ex-Yougoslavie, “Strategic Road”, 2001, 12, 2/1/02, http://www.strategic-road.com/pays/pubs/raison_intervention_yougoslavie.htm; Nadim MALLAT-LOPEZ, Des Balkans au Caucase le même grand jeu, “Strategic Road”, 2002, 1, 16/1/02, http://www.strategic-road.com/pays/pubs/balkans_au_caucase.htm.
430 Cfr. Qiao LIANG-Wang XIANGSUI, Guerra senza limiti in Nel mondo di Bin Laden, “Limes”, Quaderno, 2001, 4, pp. 91-104.
431 Sulle nuove tecnologie militari cfr. http://www.darpa.mil.
432 Cfr. Jeremy RIFKIN, La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato, Baldini & Castoldi, Milano 1995.
433 Carlo JEAN, Geopolitica e strategia della guerra contro il terrorismo in Nel mondo di Bin Laden, “Limes”, Quaderno, 2001, 4, pp. 21-30; Thomas DONNELLY, La ricetta dell’America: battere Osama e contenere la Cina in La guerra continua, “Limes”, 2003, 2, pp. 23-30.
434 Cfr. Giorgio S. FRANKEL, La profezia di Mr. Hubbert. Secondo il celebre geologo USA, la produzione di petrolio sta per iniziare il suo declino, “Il Sole-24 Ore”, 2 febbraio 2004.
435 Cfr. Umberto ECO, A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Bompiani, Milano 2006.
436 L. INCISA DI CAMERANA, op. cit., pp. 13, 36-40 (“Vinta o alleata: la Russia di Michele Strogoff”). Cfr. Zbigniew BRZEZINSKI, Game Plan. How to conduct the Us-Soviet contest, The Atlantic Montgly Press, Boston-New York 1986; Ibid., The geostrategic triad. Living with China, Europe, and Russia, CSIS, Washington DC 2000. Cfr. Robert KAGAN, Cina e Russia i nuovi despoti, “La Repubblica”, 24 maggio 2006; Alberto D’ARGENIO, La profezia del dominio russo nella tesi di Putin studente, “La Repubblica”, 21 ottobre 2006: “Dieci anni fa un anonimo dottorando di San Pietroburgo prevedeva che grazie a gas e petrolio la Russia sarebbe risorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica. […] Il manifesto energetico del leader russo promuoveva le risorse naturali del Paese a strumento con cui Mosca sarebbe tornata tra le grandi della politica internazionale. Ma per sfruttarle al massimo, scriveva, si sarebbe dovuto creare un sistema misto, pianificato dal potere politico, in cui Stato e grandi corporazioni finanziarie ed industriali avrebbero dato vita a campioni nazionali in grado di competere con le società straniere. Il tutto con un preciso obiettivo: Servire gli interessi geopolitici e mantenere la sicurezza nazionale della Russia”.
437 John C. HULSMAN, Cogli la ciliegina: l’America usa la debolezza europea in La strana guerra, “Limes”, 2003, 1, pp. 141-150; L’Europa americana, “Limes”, 2003, 3.
438 Sul vertice di Bruxelles del giugno 2005 e sullo scontro sotto la Presidenza inglese sul bilancio europeo cfr. Patrick SABATIER, Waterloo, “Libération”, 18 giugno 2005: “Un 18 juin, il y a 190 ans, a décidé de l’avenir du continent européen. Non loin de Bruxelles, à Waterloo, l’ultime tentative de Napoléon pour unifier l’Europe sous son Empire était défaite par une coalition d’Etats assemblés autour du Royamme-Uni, et d’une vision de l’Europe comme un équilibre de puissances, plutôt qu’Europe-puissance”; Guido MONTANI, Lo scandalo del bilancio europeo, “L’Unità Europea”, XXXII, novembre-dicembre 2005, 381-2, 1/4/06, http://www.mfe.it/unitaeuropea/2005/UE_381_82.pdf.
439 Cfr. Wolfgang SCHÄUBLE-Karl LAMERS, “CDU-CSU Fraktion des Deutschen Bundestages: Überlegungen zur europäischen Politik” (Bonn, 1/4/1994), 1/4/06, http://www.cducsu.de/upload/schaeublelamers94.pdf. Cfr. A. PEPE, op. cit., pp. 151-152: “Un modello politico costituzionale in cui il centro europeo sovranazionale non ha bisogno di articolazioni statali, ma di una pluralità di entità subnazionali, non di classi dirigenti nazionali, ma di ceti amministrativi locali”.
440 Cfr. Giuseppe SACCO, L’Europa del sangue versato in La Russia a pezzi, “Limes”,1998, 4, pp. 283-302 (293): “Con la minaccia sovietica è certamente scomparso uno degli elementi della realtà internazionale che spingeva i popoli europei l’uno verso l’altro, ma è scomparso anche il principale, se non l’unico elemento che spingeva l’Europa verso l’America. E se gli europei debbono davvero darsi un nuovo copione, esso potrebbe anche consistere in una presa di coscienza della loro comunità d’interessi a controllare in qualche modo la rapida omogeneizzazione del mondo sul modello americano, di fronte a una drastica riduzione del numero degli attori economici in virtù del rapido sviluppo di un oligopolio globale di grandi aziende di concezione anglo-americana”. Sull’opposizione francese al progetto di Costituzione Europea cfr. Michel ONFRAY, Contre la servitude volontaire, aprile 2005.
441 Mediobanca, Le privatizzazioni in Italia dal 1992 (Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, 10 ottobre 2000) in Il sistema Paese di fronte alle sfide della moneta unica e della globalizzazione dell’economia. Atti parlamentari XIII Legislatura. Indagini conoscitive e documentazioni legislative, vol. III, Camera dei Deputati, Roma 2001, 1/2/07, http://www.mbres.it/ita/download/rs_priv_testo.pdf.
442 Cfr. Tony BARBER, Italy must boost productivity to aid growth (intervista a Tommaso Padoa Schioppa), 18 febbraio 2007, http://us.ft.com/ftgateway/superpage.ft?news_id=fto021820071734005122&page=1; Giuseppe TURANI, Le imprese sono cambiate la ripresa è solida e durerà (intervista a Innocenzo Cipolletta), “Affari & Finanza”, 22, 19 febbraio 2007, 7: “Con l’introduzione dell’euro è cambiato qualcosa nel sistema Italia. È finita la possibilità (largamente usata nei decenni precedenti) di usare la leva della svalutazione della lira per ritrovare competitività sui mercati internazionali. Prima, quando le cose cominciavano a andare male, si svalutava e questo ridava competitività alle imprese. Anche se poi si importava inflazione, che danneggiava tutto il sistema e che rendeva inevitabile una successiva svalutazione. […] La competitività, a questo punto, andava cercata in fabbrica, in azienda. […] Il Pil di questi giorni, del 2006, con la sua crescita al 2 per cento, è appunto il frutto di questo cambiamento. Sbaglia chi attribuisce il buon risultato del 2006 alla migliore congiuntura internazionale o alla collocazione del dollaro o a altre cose. Dietro quel risultato c’è un sistema industriale che non è più quello di cinque anni fa. Ecco perché sostengo che questa ripresa è sana e solida. Dietro non c’è un incidente congiunturale, ma c’è un sistema che è cambiato, che è diventato migliore. […] Si è organizzato meglio, ha delocalizzato (quando era possibile), ma soprattutto ha fatto una cosa importante: si è spostato sui prodotti medioalti, su prodotti nei quali è più facile difendersi. E ha abbandonato i prodotti bassi (quelli a alto contenuto di lavoro e poca innovazione) che erano invece la caratteristica degli anni precedenti. La rivoluzione dell’impresa italiana nella prima parte degli anni 2000 è questa: il passaggio da prodotti bassi, non più difendibili, a prodotti medioalti”.
443 Mediobanca-Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane. 1996-2003, 2006, 1/2/07, http://www.mbres.it/ita/download/mi.pdf.
444 Cfr. Edmondo BERSELLI, I supplenti della politica, “La Repubblica”, 25 ottobre 2006; Alberto STATERA, Il bonapartismo di Eugenio Cefis, “Affari & Finanza”, 19, 19 luglio 2004: “Quando i boiardi delle imprese pubbliche si fossero liberati dell’investitura politica e i capi delle imprese private della loro concezione individualistica, in quel momento non avrebbero più dovuto cercare il potere per interposta persona, pagando i partiti, arricchendo i leader politici e i loro entourage famelici. Il potere politico lo avrebbero esercitato in proprio”. Cfr. Franco BRIATICO, Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia. Vicende e protagonisti, Il Mulino, Bologna 2004.
445 Cfr. C. M. SANTORO, op. cit., pp. 180, 185-187 (cap. 7, “La politica estera della Repubblica”, pp.177-215) Per effetto combinato della sconfitta militare – quindi del processo di disgregazione della grande potenza (Vigezzi) – e del cambio di regime, nei primi anni del dopoguerra la nazione si trovava sottoposta a forti spinte disgregatrici. Al clima postbellico di “de-identificazione nazionale” la nuova classe politica (internazionalista) – social-comunista, cattolico-ecumenica e federal-europeista – non poteva che rispondere diluendo (destrutturando) il principio nazionale, e l’interesse nazionale, in contenitori multilaterali (Europa, NATO, ONU) universalistici. Al contrario “una delle ragioni di fondo degli eccessi ipernazionalistici dell’Italia liberale e poi fascista era proprio dovuta all’incompiutezza del processo di nation-building nazionale, così come la storiografia della cultura politica italiana testimonia ampiamente. Il problema dell’Italia postbellica non era infatti tanto quello di liberarsi da un eccesso di identità nazionale, che minacciava di sfociare in nazionalismo aggressivo, quanto quello di rafforzare e completare il processo di costruzione della nazione italiana all’interno del suo involucro statale modernizzandone la cultura politica e consolidandone le capacità. In altri termini, la nostra tesi è che l’Italia si sia lasciata più volte suggestionare da ambizioni imperiali e ipernazionalistiche proprio perché non era dotata di una definizione certa della propria personalità nazionale. Avrebbe dunque potuto essere proprio il timore narcisistica della perdita di identità, dovuto all’immaturità oggettiva dello sviluppo politico ed economico nazionale, il movente primo delle radici del comportamento talvolta irrazionale che ha caratterizzato le fasi iniziali della sua vita unitaria”. Cfr. Brunello VIGEZZI, Politica estera e opinione pubblica in Italia dalla seconda guerra mondiale ad oggi in Opinion publique et politique extérieure. 1945-1981, Ecole française de Rome, 1985, pp. 81-136.
446 Ivi, p. 182. Cfr. Jan F. TRISKA, Dominant powers and subordinate States: The United States in Latina America and the Soviet Union in Eastern Europe, Duke University Press, Durham (NC) 1986.
447 C. M. SANTORO, op. cit., p. 182.
448 Ibid. (n.): “Per insieme mediterraneo s’intendono qui i paesi rivieraschi del bacino, ma anche quelle aree sub-regionali, come il Golfo, il Corno d’Africa, il Sahel e i paesi della Mitteleuropa”.
449 L. INCISA DI CAMERANA, op. cit., p. 54-57 (“Comiso: La Vittorio Veneto della terza guerra mondiale”).
450 Cfr. Carlo JEAN, La nostra sicurezza nel mondo balcanizzato in A che serve l'Italia, “Limes”, 1994, 1, pp. 201-212; Jacopo TURRI, Le forze armate come strumento geopolitico in L’Italia mondiale, “Limes”, 1998, 1, pp. 65-74.
451 Il Trattato di Maastricht – così come la Costituzione Europea (articolo I-41; protocollo 23: “la politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione rispetta gli obblighi derivanti dal trattato Nord-Atlantico per gli Stati membri che ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del trattato del Nord-Atlantico, che resta il fondamento della difesa collettiva dei suoi membri, ed è compatibile con la politica di sicurezza e di difesa comune adottata in tale testo”) – riconosce la NATO come responsabile della difesa collettiva; mentre il Trattato di Amsterdam ha integrato i Petersberg Tasks (1992) della WEU-UEO nella Politica Europea di Sicurezza e di Difesa, delegandole la funzione di peacekeeping-peacemaking (vertice NATO di Washington del 1999). Stabilendo un doppio livello d’intervento pur all’interno delle strutture dell’Alleanza. Nel 1996 il vertice NATO di Berlino aveva attribuito l’ESDI (European Security and Defence Identity), da cui deriverà la PESD-ESDP, proprio alla Unione Europea Occidentale. Col Trattato di Nizza (modifica dell’articolo J.7, paragrafo 1 del Trattato di Amsterdam) s’interrotta la tendenza all’integrazione dell’UEO. L’Unione ne ha assorbito alcuni organi e ha ripreso a sviluppare proprie strutture PESD (Summit Anglo-Francese di Saint Malo del 1998 e Consiglio di Colonia del 1999). Cfr. Giuseppe SACCO, L’Europa del sangue versato in La Russia a pezzi, “Limes”, 1998, 4, pp. 283-302 (288): “Avendo scelto la via dell’integrazione commerciale ed economica come soluzione di ripiego, dopo il fallimento del percorso – politico quanto nessun altro – che passava per l’unificazione degli eserciti, si è prestato il fianco a un ridimensionamento del progetto politico originario, si è creata una situazione per cui l’unificazione europea finisce per apparire come un building bloc della globalizzazione, come una semplice liberalizzazione economica condotta all’interno di un quadro provvisorio e più ristretto in cui paesi più o meno omogenei possono ottenere qualche più rapido risultato nella corsa verso l’integrazione ad un’economia mondiale liberalizzata”.
452 Cfr. Franz GUSTINCICH, I cavalieri del nuovo secolo americano in La guerra continua, 2003, 2, pp. 265-272; Raffaele MASTROLONARDO, Il Platone di Bush in La vittoria insabbiata, “Limes”, 2003, 5, pp.107-114; Enzo MODUGNO, Gli hegeliani in forza al Pentagono, “Il Manifesto”, 18 Marzo 2006; Francis FUKUYAMA, After Neoconservatism, "The New York Times", 19 febbraio 2006, 27/3/06, http://www.nytimes.com/2006/02/19/ magazine/neo.html?ex=1298005200&en=4126fa38fefdde&ei=5090; Paul BERMAN, Neo No More (recensione: America at the Crossroads di Francis Fukuyama, "The New York Times", 26 marzo 2006, 27/3/06, http://www.nytimes.com/2006/03/26/books/review/26berman.html?ex =1301029200&en=eb57b7ea9f3e9a07&ei=5088&partner=rssnyt&emc=rss.
Cfr. DEPARTMENT OF DEFENSE (USA), Quadriennal Defense Review Report, 6 febbraio 2006, 19/3/06, http://www.comw.org/qdr/qdr2006.pdf. Cfr. Leo STRAUSS, What is political philosophy ? (1955), “The Journal of Political Philosophy”, 19, 1957, 3, pp. 343-368 ed. it. Che cos’è la filosofia politica ?, Argalia,Urbino 1977, pp. 389-409; Patrick E. TYLER, U.S. Strategy Plan calls for insuring no rivals develop: a one-superpower world (Pentagon’s document outlines ways to thwart challenges to primacy of america), “New York Times”, 8 marzo 1992, 24/9/06, http://work.colum.edu/~amiller/wolfowitz1992.htm; Dick CHENEY, Defense Strategy for the 1990s: The Regional Defense Strategy, gennaio 1993, 24/9/06, http://www.informationclearin ghouse.info/pdf/naarpr_Defense.pdf; THE PROJECT FOR THE NEW AMERICAN CENTURY (PNAC), Rebuilding America’s defenses. Strategy, forces and resources for a new century, settembre 2000, 24/9/06, http://www.newamericancentury .org/RebuildingAmericasDefences.pdf.
453 Cfr. Pasquale IUSO, Crisi balcaniche e mass media. La guerra del Kosovo teatro di un evento mediatico mancato in La comunità internazionale…, op. cit., pp. 31-39.
454 Le PSO (Peace Support Operations) costituiscono, rispetto alla dottrina militare, una categoria aperta riguardo all’uso della forza e quindi alle tipologie d’intervento. L’Agenda for Peace indica sei strumenti-livelli: “The United Nations has developed a range of instruments for controlling and resolving conflicts between and within States. The most important of them are preventive diplomacy and peacemaking; peace-keeping; peace-building; disarmament; sanctions; and peace enforcement. The first three can be employed only with the consent of the parties to the conflict. Sanctions and enforcement, on the other hand, are coercive measures and thus, by definition, do not require the consent of the party concerned. Disarmament can take place on an agreed basis or in the context of coercive action under Chapter VII. […] Preventive diplomacy is action to prevent disputes from arising between parties, to prevent existing disputes from escalating into conflicts and to limit the spread of the latter when they occur. Peacemaking is action to bring hostile parties to agreement, essentially through such peaceful means as those foreseen in Chapter VI of the Charter of the United Nations. Peace-keeping is the deployment of a United Nations presence in the field, hitherto with the consent of all the parties concerned, normally involving United Nations military and/or police personnel and frequently civilians as well. Peace-keeping is a technique that expands the possibilities for both the prevention of conflict and the making of peace. […]Post-conflict Peace-building action to identify and support structures which will tend to strengthen and solidify peace in order to avoid a relapse into conflict”. Cfr. UN, An Agenda for Peace. Preventing diplomacy, peacemaking and peace-keeping. Report of the Secretary-General pursuant to the statement adopted by Summit Meeting of the Security Council on 31 January 1992 (S/23500, A/47/277 - S/24111), 1/4/06/, http://www.un.org/Docs/SG/agpeace.html; Ibid., Supplement to An Agenda for Peace: position paper of the Secretary-General on the occasion of the fiftieth anniversary of the United Nations. Report of the Secretary-General on the work of the organization. 3 January 1995 (A/50/60 - S/1995/1), 1/4/06, http://www.un.org/Docs/SG/agsupp.html#INSTRUMENT; Ibid., Charter of the United Nations, (chapt. VII-VIII) 1/4/06, http://www.un.org/aboutun/charter. Cfr. Le missioni di pace secondo i militari in Euro o non euro, “Limes”, 1997, 1, pp. 287-294.
455 A. PEPE, op. cit.
456 Cfr. Jože PIRJEVEC, Le guerre jugoslave. 1991-1999, Einaudi, Torino 2001; Alessandro MARZO MAGNO (a cura di), La guerra dei dieci anni, Il Saggiatore, Milano 2001.
457 Cfr. Annamaria VINCI, Il fascismo al confine orientale in Friuli-Venezia Giulia. Storia d’Italia. Le regioni dall’unità ad oggi, Einaudi, 2002; Ibid., Il fascismo di confine, Seminario (Torino, 18 ottobre 2005), 1/4/06, http://www.italia-liberazione.it/ita/doc/vinci_to_06.pdf; Ibid., Il fascismo e il confine orientale in Fascismo foibe esodo. La tragedia del Confine orientale, Convegno (Trieste, 23 settembre 2004), pp.15-32, 1/4/06, http://www.deportati.it/static/pdf/TR/2005/novembre/quaderno.pdf.
458 Materializzata recentemente nell’atto politico dell’istituzione del “Giorno del ricordo” (Legge n. 92 del 30 marzo 2004): “La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale Giorno del ricordo al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Nella giornata [...] sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero”. Vanificati gli intenti revisionisti dell’allora al governo partito post-fascista – di riscrittura e falsificazione del mito resistenziale repubblicano – potrebbe produrre la riacquisizione alla coscienza nazionale di una pagina rimossa: e paradossalmente contribuire ad aprire quell’indispensabile fase di rielaborazione della storia patria e di pacificazione. Cfr. Anais GINORI, Le stragi fasciste in Etiopia rimosse per volontà politica (intervista a Angelo del Boca), “La Repubblica”, 23 maggio 2006; Umberto DE GIOVANNANGELI, Matvejevic: Il ricordo di un crimine non può cancellare l’altro (intervista a Pedrag Matvejevic), “l’Unità”, 13 febbraio 2007; Enzo COLLOTTI, La storia dal nulla, “Il Manifesto”, 14 febbraio 2004; Ibid., Giù le mani dalle foibe, “Il Manifesto”, 11 febbraio 2007. Cfr. Commissione storico-culturale italo-slovena, Relazioni italo-slovene. 1880-1956, Nova revija, Ljubljana 2001; “Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della celebrazione del Giorno del Ricordo” (Quirinale, 10 febbraio 2007); ANSA, 12 febbraio 2007, 16:56, “Foibe: La Croazia attacca Napolitano”. Cfr. Fabio GAMBARO, L’Europa in preda al masochismo (intervista a Pascal Bruckner), “La Repubblica”, 10 febbraio 2007: “Gli europei leggono la loro storia come una lunga sequenza di crimini di cui sarebbero gli unici responsabili. Questo passato ingombrante renderebbe necessaria un’interminabile fase di pentimento e penitenza. Naturalmente, l’obbligo della penitenza non è mai formulato apertamente, ma, come ogni ideologia, agisce in sottofondo, quasi come un’evidenza naturale. Tutti ne siamo prigionieri, sviluppando un atteggiamento psicologico che, in nome del passato, limita il nostro intervento nel presente”. Cfr. Pascal BRUCKNER, La tirannia della memoria, Guanda, Parma 2007; Ibid., Tout coupables ?, “Le Monde”, 25 settembre 2001.
459 Trattato di Osimo (10 novembre 1975). Cfr. Ennio DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali. 1918-1992, Laterza, Roma-Bari, 1994, pp. 554-555, 647, 1009-1011, (734-737, 829-831, 849); G. GIORDANO, op. cit., pp. 293-295, 300-303, 322-326, (390-394).
Cfr. Giulio ERCOLESSI, Il trattato di Osimo con la Jugoslavia ha un risvolto criminoso: il protocollo economico, “Prova Radicale”, dicembre 1976. Cfr. “Il Trattato di Osimo”, 1/4/06, http://www.radicalifvg.it/Osimo.html.
460 L. INCISA DI CAMERANA, op. cit., p. 62-65 (“Dall’elmo di Scipio al casco blu”).
461 Cfr. Gianfranco VIESTI, I vicini sono tornati: Italia, Adriatico, Balcani, Laterza ed. della lib., Roma-Bari 2002.
462 Gianfranco VIESTI, Un ponte verso i Balcani, “Il Mulino”, LV, 427, settembre-ottobre 2006, pp. 939-949; Michele CAPRIATI-Nicola CONIGLIO-Gianfranco VIESTI, L’integrazione commerciale fra Italia e Balcani in ICE-ISTAT, L’Italia nell’economia internazionale. Rapporto ICE 2003-2004, pp. 161-167 (Cap. 5, “L’orientamento geografico del commercio estero dell’Italia”); Michele CAPRIATI-Nicola CONIGLIO-Gianfranco VIESTI, L’Italia nei Balcani: una internazionalizzazione di sistema in Rapporto ICE 2004-2005, pp. 231-236 (Cap. 5, “Le aree e i paesi”); Gianfranco VIESTI, La geografia delle esportazioni italiane: uno sguardo di lungo periodo. 1985-2005 in Rapporto ICE 2005-2006, pp. 483-498 (Cap. 7, “Il territorio”). Cfr. Nota 159.
463 L’Italia domina le quote di mercato (20 % dell’import totale) come primo fornitore nei Balcani, mediamente sopravanzando persino la Germania (2002). Le quote in aumento tendenziale, e 4/5 volte superiori a quelle di altre aree del nostro export (nel decennio 1994-2003 l’export verso i Balcani è aumentato del 240 %).
464 M. CAPRIATI-N. CONIGLIO-G. VIESTI, L’integrazione commerciale fra Italia e Balcani…, p. 231: “L’importanza dell’area balcanica non esclusivamente come mercato di sbocco e area di decentramento produttivo ma soprattutto come area nella quale l’Italia ha una internazionalizzazione definibile di sistema, articolata su intense relazioni economiche e para-economiche: non solo commercio estero e delocalizzazione produttiva, ma anche investimenti diretti manifatturieri per il mercato locale, presenza bancaria e in altri settori del terziario, intensa cooperazione culturale, operazioni di peacekeeping e rilevanti flussi migratori”.
465 G. VIESTI, Un ponte verso i Balcani…, p. 940, 948.
466 Cfr. ADRIATICUS, Le conseguenze geopolitiche del Patto di Stabilità in Gli stati mafia, “Limes”, 2000, 2, pp. 87-100; Richard SKLAR, Approccio italiano e Patto di Stabilità in Balcani: il punto di vista americano, Seminario Fondazione Nord Est-Limes, “Balcani: strategie USA e Italia a confronto” (Trieste, 12 maggio 2000), “NE”, 2, 2000, 6, 1/4/06, http://www.fondazionenordest.net/uploads/media/NL_giugno_luglioN6.pdf; Ettore GRECO (a cura di), Il Patto di stabilità e la cooperazione regionale nei Balcani, IAI – Quaderni, 2000, 10.
467 Cfr. Patto di stabilità…, op. cit., (V, “Ruolo dell’EU”): “L’EU avvicinerà la regione alla prospettiva della piena integrazione di questi paesi nelle sue strutture. Nel caso di paesi che non hanno ancora concluso accordi di associazione con l’EU, questo si farà attraverso un nuovo genere di relazione contrattuale prendendo in piena considerazione le situazioni individuali di ciascun paese con la prospettiva della adesione all’EU, sulla base del Trattato di Amsterdam e una volta che le norme di Copenaghen siano state soddisfatte. Sottolineiamo anche la disponibilità dell’Unione Europea che, decidendo autonomamente, considererà il raggiungimento degli obiettivi del Patto di Stabilità, in particolare i progressi nella collaborazione internazionale, tra gli elementi importanti nel valutare i meriti di una tale prospettiva”.
468 J. PRLI?, op. cit., pp. 39-41 (“Le ragioni economiche dei conflitti interetnici”): “Furono le richieste della Banca mondiale di quell’epoca, e soprattutto del Fondo monetario internazionale, circa riforme tecnico-economiche efficaci e sostanziali a determinare la dissoluzione formale della Jugoslavia”.
469 G. VIESTI, Un ponte verso i Balcani…, p. 945.
470 G. SACCO, op. cit. Sacco definisce l’Europa come un club di ex-combattenti fondato sulla riconciliazione.
471 Progetto Euroslavia in Israele, terra e pace, “Limes”, 1995, 4, pp. 7-10; Boran KARADŽOLE, Un passo verso il mercato unico euroslavo in L’Italia tra Europa e Padania, “Limes”, 1996, 3, pp. 259-265; Margherita PAOLINI, Una strategia per i Balcani adriatici in L’Italia mondiale, “Limes”, 1998, 1, pp. 227-234.
472 Cfr. J. PRLI?, op. cit., p. 127 e ss. (pp. 191-195, “La promozione del commercio e degli investimenti è più importante dell’aiuto economico”).
473 Cfr. G. VIESTI, Un ponte verso i Balcani…, p. 946. Attraverso la creazione di un’area di libero scambio o di unione doganale con l’UE. Sull’opposizione croata alla proposta di unione doganale cfr. Vesna PERIC ZIMONJIC, “Balcani: Diverse le strade verso l’Unione Europea”, IPS, 9 febbraio 2006, 1/4/06, http://www.ipsnotizie.it/nota.php?idnews=602.