1. Quali Balcani? Territori e identità. L’incidenza dei fattori di lunga durata



La democrazia è, prima di tutto, un ideale. […] Senza una tendenza idealista una democrazia non nasce e, se nasce, si indebolisce rapidamente. Più di ogni altro regime, la democrazia va controcorrente, contro le leggi inerti che governano i gruppi umani. Le monocrazie, le autocrazie e le dittature sono facili, ci cadono da sopra; le democrazie sono difficili, devono essere promosse e ci si deve credere.

(Giovanni Sartori, 1991)


Nell’idea di Balcani si fondono immagini, concetti e definizioni, in una tensione tra il reale e l’ideologico. In questa fusione c’è il contrapporsi di un concetto geografico ad uno geopolitico16. Se con Balcani (in senso stretto) ci si riferisce ad un sistema montuoso17, il nome tende, poi, ad allargarsi per definire la Penisola (Balcanica)18; per indicare un’area di instabilità cronica19 e per declinare, infine, in un giudizio di valore20. Un appellativo talmente connotato ideologicamente da subire alterne fortune, oggi spesso a vantaggio del più politically correct Sud-Est Europeo21. Secondo Prévélakis, infatti, “per cogliere la realtà di uno spazio che ha funzionato come grande crocevia geopolitico, è necessario ammettere una certa indeterminatezza nella sua definizione geografica. Sebbene esista un nucleo centrale balcanico che grosso modo si organizza intorno al triangolo Belgrado-Salonicco-Sofia, vi sono altri spazi che, a seconda dei periodi e degli aspetti presi in considerazione, sono più o meno periferici rispetto ai Balcani”22.

La penisola sarebbe caratterizzata, secondo un’immagine suggestiva, dal sovrapporsi di una serie di reti: di Stati, religioni, etnie, organizzazioni criminali23. Una sovrapposizione drammaticamente generatrice di tensioni, di cui si sottolinea spesso la particolarità; in realtà nessuna particolarità rispetto alla storia europea, se si considera il carattere di faglia che quest’area ha sempre rivestito e conseguentemente la sua scarsa integrazione-integrabilità (verso l’interno e verso l’esterno), di cui le ultime guerre balcaniche rappresentano solo un’ennesima manifestazione: “Gli Slavi furono condotti nell’orizzonte cristiano dall’azione contrapposta di due centri missionari rivali, Bisanzio e Roma. Le idee religiose e politiche, la percezione del diritto e le espressioni artistiche degli uni e degli altri hanno, di conseguenza, seguito percorsi evolutivi discordanti”24. È possibile quindi guardare alla Penisola Balcanica, non solo fisicamente ma anche culturalmente, come ad un punto di contatto di placche tettoniche; cui la corrugazione del territorio interno corrisponderebbe l’eterogeneità etnica, religiosa, socioeconomica, ecc.25. Faglia come frattura e contemporaneamente punto di contatto e interscambio tra aree culturali diverse. Propaggine meridionale e interruzione di un continuum tra Europa e Asia, “l’oceano” costituito dalle steppe eurasiatiche, per secoli veicoli di grandi migrazioni, guerre, traffici, culture26. Per senso comune una faglia tra mondo occidentale e orientale, tra Europa e Asia, tra cristianesimo e islam, e contemporaneamente tra cattolicesimo e ortodossia. Più di recente, tra due modelli economici antagonisti27.
Contrapposizioni che in maniera diversa si sono rinnovate periodicamente fino ad oggi e che fanno appello a fattori di lunga durata28 della storia europea.

L’Europa Occidentale già nel XVII sec. – con la fine della grande stagione delle guerre di religione – era composta da aree pressoché omogenee29, frutto di successive purificazioni etniche-religiose e della fine precoce delle ondate d’invasione (Bloch). Ad Est, invece, etnie e religioni si sovrapponevano sul territorio, all’interno di contesti istituzionali imperiali; il perdurare delle invasioni “barbariche” infatti aveva rallentato il processo di omogeneizzazione (linguistica, religiosa, etnica), lo sviluppo economico e di modelli istituzionali nazionali. L’ “Europa Orientale – dirà Von Mises – è quell’insieme di territori plurilingui in cui si instaurano legami particolari tra arretratezza (non solo socio-economica ma anche politico-statale), religione, nazionalità e tipi di nazionalismo, costruzione statale e modernizzazione-industrializzazione”30.

Era dunque il luogo delle grandi entità statali multietniche. Era il luogo dei grandi spazi aperti o, come nei Balcani, degli spazi chiusi-insulari e periferici. In tali condizioni era difficile si sviluppasse una qualche coscienza protonazionale, fondata su una comune appartenenza territoriale31; coscienza che nasce da una cultura essenzialmente urbana (civitas) e borghese. A partire da culture urbane diverse, la formazione delle identità nazionali seguirà percorsi diversi. Nei Balcani in particolare, la città (ottomana)32 si organizzava secondo lo schema della nazione diasporica. Centri amministrativi-militari, città-crocevia posti sulle principali vie di comunicazione, caratterizzati da una multietnicità funzionale; dove lo stile di vita e la specificazione professionale33 erano associati alla religione (all’etnia) e alla collocazione nello spazio urbano. Le etnie in tal modo si connotavano culturalmente e le città divenivano crocevia di reti di diaspora che la collegavano all’esterno e interconnettevano le diaspore in “nazione”34. Al di fuori del tessuto urbano, i reticoli si dilatavano in un territorio punteggiato da comunità chiuse e omogenee a base familiare-clanica35. Un mosaico di etnie attraversato da reticoli sovrapposti di connessioni. Questo “modello” era il risultato di una secolare stratificazione culturale e istituzionale. Una prima sintesi grecobizantina-slava si era realizzata con la cristianizzazione36 degli Slavi37 orientali e meridionali e l’inclusione dei regni barbarici (foederati) in una sorta di Commonwealth bizantino: “Pressata com’era dall’espansione araba, Bisanzio si impegnò [in una] campagna di evangelizzazione tanto rapida quanto efficace. Agli occhi di Bisanzio gli Slavi passarono allora dalla condizione di “barbari” allo statuto eletto di membri a pieno titolo del suo Commonwealth. […] Per i missionari bizantini l’operazione di trapianto del modello di cui erano latori includeva tutte le condizioni atte a favorire lo sviluppo del nuovo microcosmo, vale a dire le strutture della gerarchia ecclesiastica, il sistema politico e amministrativo, i rapporti privilegiati fra sfera religiosa e sfera del governo, l’arte religiosa e la relativa filosofia”38. L’Impero Ottomano aveva poi incorporato entrambe le tradizioni, la slava e l’imperiale-bizantina, rivitalizzandole39: “L’Impero Ottomano è succeduto all’Impero Bizantino conservando molti elementi della sua civiltà e della sua politica. Grazie alle nuove energie portate dagli Ottomani, l’Oriente, e soprattutto i Balcani che stavano fondendosi con l’Occidente, hanno ripreso vigore”40.

“Qui l’oppressione zarista, là il giogo ottomano” avevano quindi perpetuato nel mondo slavo fino in epoca contemporanea, un’organizzazione sociale arcaica; nella struttura originaria concentrica, formata dalla grande famiglia, il clan, la tribù. Con forme di possesso comunitario e forme primitive di democrazia diretta (che riecheggiano le assemblee generali dei popoli germanici41). Un retaggio mantenuto vivo nei villaggi liberi42 delle zone pedemontane che Bisanzio aveva usato per bilanciare il potere dei governatori e la Porta come uno dei pilastri del suo sistema decentrato (la funzione di contropotere, per esempio nelle kraijne43 serbe, ne farà dei centri di incubazione del nazionalismo). L’origine difensiva – nell’ambito dello scontro tra gruppi etnici, durante la colonizzazione – si era accentuata con la sedentarietà44. La dimensione territoriale si era sostituita ai legami di sangue ed era comparsa una nuova entità. La zupa designava sia il territorio del villaggio-tribù, sia l’unità amministrativa fondamentale dei primi regni slavi. Così il titolo di zupan poteva essere conferito al capo villaggio-tribù o, in particolare in Serbia, ad un alto dignitario feudale. Il Principe o il Vojevoda era soprattutto un capo militare e la zupa, quindi, un organismo politico con scopi difensivi – più che rappresentativi – “in grado di tener testa all’avanzata di altri gruppi etnici”45.

Dall’inserimento delle istituzioni tradizionali slave nella struttura decentrata dell’Impero Ottomano, era derivato un decentramento duplice: organizzato a livello istituzionale sui millet46, comunità giuridico-amministrative a base religiosa, e a livello territoriale sulle piccole regioni naturali (villaggi, zupe) autoamministrate. Un sistema istituzionale funzionale alle vaste dimensioni e alla multiculturalità dell’Impero ed efficace infatti nello stabilire per quattro secoli, in un panorama di guerra permanente, un’area di relativa “libertà” e benessere47. Un sistema però che aveva il suo momento di coesione e di debolezza proprio nel nesso funzionale della multietnicità, essendo del tutto assente ogni concetto di “solidarietà tra Stato e sudditi”48; una connessione diretta.
I sudditi si identificavano principalmente nel millet – su basi etnoreligiose e non territoriali – e attraverso questo si connettevano allo Stato. In maniera secondaria, rapportandosi sempre al millet, nella piccola regione naturale culturalmente omogenea. Lo Stato, l’Impero (secondo un’idea abusata) era avvertito presente solo in quanto esattore o dispensatore di privilegi. “La storia, procedendo nello stesso senso della geografia, rafforza alcuni tratti psicologici e culturali: diffidenza verso lo Stato, organizzazione reticolare, attaccamento territoriale debole, limitato all’ambito della piccola regione naturale”49.

Un modello chiaramente incompatibile con quello della nazione territoriale. A partire dalle Campagne Napoleoniche “l’idea nazionale” andrà diffondendosi anche ad Est, con effetti disgregativi sui tre Grandi Imperi Multinazionali. Le élites si riferiranno per la costruzione dei nazionalismi50 non a modelli reali di Stati Nazionali ma a mitici passati imperiali51, in una miscela di antico (ancestrale) e di moderno, di grandezze imperiali e ideologie dell’esclusione che produrrà la pulizia etnica52: “una costante di successo nella storia dell’Europa Orientale degli ultimi duecento anni”53.

Nei Balcani la particolare valenza identitaria della religione era stata di ostacolo alla formazione di un’intellettualità laica, all’origine della lentissima gestazione e poi debolezza delle future élite nazionali. Le identità nazionali si erano manifestate per la prima volta proprio all’interno delle Chiese54 ed erano state in questo modo preservate e alimentate da miti imperiali. Nel contesto di una società agricola arretrata – che vedeva la commistione tra poteri religiosi e civili – e in mancanza di un élite laica, i nazionalismi balcanici avrebbero avuto necessariamente una connotazione etnoreligiosa e grande imperiale55. Saranno le tipologie di regioni naturali all’origine di stili di vita e tipi culturali, poi declinati nelle diaspore. I nazionalismi balcanici si fonderanno proprio su questi tipi culturali, mutati in “tipi psicologici” (Cvijic); caratterizzazioni caricaturali che ne alimenteranno l’etnocentrismo56 e la xenofobia. La regione naturale diventerà piccola patria, rivendicata da gruppi etnici diversi. Venuto progressivamente meno il sistema istituzionale multietnico e con esso il collante della coesistenza funzionale – spezzati i legami di solidarietà interetnica – l’affermazione delle nuove nazioni avrà come strumento principale la purificazione da elementi estranei al gruppo57 naturale58. Avrà come scopo principale una “ritrovata unità etnica nell’antica patria rinata”. Visti in quest’ottica identitaria, i conflitti tra “nazioni” non faranno altro che riproporre la tradizionale contrapposizione tra classi rurali e urbane59; trovando corrispondenza in un altro dualismo, quello tra élite autoctone ed élite allogene. Nei Balcani il nazionalismo sarà figlio dei villaggi liberi e non certo delle città cosmopolite, poiché la creazione ex novo di élite nazionali avrebbe comportato naturalmente la centralità della comunità etnica naturale e la coincidenza tra questione nazionale e religiosa.

A partire dalla metà del XVIII secolo l’esplosione demografica60, a seguito della crescita della produttività agricola, stava mettendo sotto pressione le società europee. Mentre le società dell’Europa occidentale e centrale si trasformavano in società urbane, l’Est diventava periferia agraria, fornitrice di prodotti agricoli all’Occidente industrializzato; con un aumento del divario tra le due aree e la ripresa del servaggio. I fattori etnico e religioso per secoli avevano sottolineato-perpetuato stili di vita e differenze sociali; ora, sotto la spinta di forze nuove, i conflitti61 si sarebbero particolarmente acutizzati: saldando problema “nazionale” e sociale. Entrambi i fenomeni – pressione demografica e arretratezza – ponevano con urgenza ai tre Imperi la modernizzazione degli apparati statali.

L’Impero Ottomano era entrato in una fase di decadenza già alla fine XVII secolo, sull’onda del declino commerciale del Mediterraneo orientale. La Porta conduceva da oltre un secolo e mezzo un confronto con l’Austria per il controllo dell’Ungheria62 e quindi dell’Europa Centrale. Con la Russia che – proprio alla fine del XVII secolo – sotto Pietro il Grande aveva inaugurato la sua politica di potenza, cominciando la discesa verso sud e puntando al controllo del Mar Nero e degli Stretti. Gli stessi attori che saranno protagonisti della dissoluzione dell’Impero e delle guerre balcaniche successive e contro cui giocherà abilmente le rivalità stesse tra le potenze europee: La competizione tra Austria-Ungheria e Russia per il controllo dei Balcani; L’ostilità generalizzata all’egemonia austriaca nell’area e, soprattutto, alla costituzione in potenza marittima della Russia63 che proiettata sui mari caldi inquietava le due nascenti potenze coloniali, Francia e Inghilterra. Nascerà allora probabilmente una nuova e moderna funzione strategica di quest’area, di zona cerniera, più che in sé importante in quanto punto di proiezione verso altre aree strategiche: Il Mediterraneo, Suez, il Golfo Persico, l’Oceano Indiano; l’Asia Centrale. Nasceranno allora le premesse delle sue periodiche disgregazioni e re-integrazioni funzionali64. L’invecchiamento e l’indebolimento della struttura statale, con l’aumentata instabilità interna e il susseguirsi dei rovesci militari, stavano producendo l’apertura forzata alla penetrazione economica straniera e un progressivo aumento delle ingerenze65. Da qui sarebbe cominciata a maturare una tardiva presa di coscienza della necessità di riforme. L’azione riformatrice66 – com’era e sarebbe avvenuto con maggior successo in vari Stati europei – avrebbe teso ad una razionalizzazione-centralizzazione dei poteri militari e civili; attraverso la riforma dell’esercito e la limitazione del sistema di autonomie semifeudale.

Con l’arrivo delle truppe napoleoniche67 il processo di modernizzazione subirà un’accelerazione e un’involuzione. Le potenze straniere intrecceranno ambiguamente l’influenza culturale a quella geopolitica. La retorica del grande malato avrà una funzione di penetrazione e disgregazione dell’Impero.
Altrettanto disgregativi saranno gli effetti diretti – sulla nascita dei movimenti nazionalisti – dell’esperienza delle nuove entità “nazionali” d’ispirazione napoleonica68. L’occidentalizzazione eroderà l’autorità del Sultano, distruggendo le strutture intermedie69, senza riuscire a creare un nuovo impianto istituzionale. Si andranno ad alimentare proprio quei poteri locali e quelle spinte nazionalistiche (abilmente favoriti dai vari attori europei70) che si intendeva limitare e ci si incamminerà verso la dissoluzione.

Una penetrazione e un’ingerenza sempre più intense. Secondo la lettura che Castellan71 ha dato dello schema di Stavrianos sull’età dell’imperialismo e del capitalismo dei Balcani (1878-1914), potremmo distinguere a partire dalla Guerra di Crimea un primo periodo caratterizzato essenzialmente da una penetrazione capitalista72 e a datare dal Congresso di Berlino un secondo più propriamente imperialista: in cui i Balcani, in maniera simile a quanto stava avvenendo in ambito coloniale, divennero il terreno di scontro (interposto) delle rivalità delle potenze europee. Paradossalmente la più intensa presenza straniera non aveva accelerato ulteriormente il processo disgregativo, poiché l’equilibrio degli interessi nell’area aveva generato una sorta di appeasement73. Nessuno apparentemente si augurava il collasso dell’Impero (che avrebbe significato guerra aperta e totale con incerti risultati) e tutti concorrevano, più o meno volontariamente, al mantenimento della situazione. Il nuovo dinamismo tedesco-guglielmino sarebbe andato a turbare proprio questo equilibrio di forze, con la colonizzazione economica dell’Impero Ottomano e con la creazione di un asse di influenza tedesco attraverso i Balcani, diretto al Medio Oriente e al Golfo Persico74. I Russi vedevano così cancellata la politica degli Stretti e sbarrato ogni accesso al Mediterraneo tramite i Balcani. Dal punto di vista britannico75 si proiettava invece un’ombra sinistra sui possedimenti coloniali e in particolare sui punti chiave del sistema, costituiti dall’Egitto e dalla Persia. La nascita di un forte Stato al centro dell’Europa e il contemporaneo dissolvimento di due grandi entità multinazionali, avrebbero messo in movimento una nuova fase della storia europea che avrebbe portato il continente all’ “autodistruzione” (Hillgruber). “Era stata solamente la condizione amorfa del centro dell’Europa a consentire per secoli un equilibrio continentale […]. L’Europa centrale, dal mar Baltico all’Adriatico e al Tirreno, costituiva un elemento di separazione tra le grandi potenze, ponendo una certa distanza tra loro e impedendo così collisioni dirette. […] Inoltre serviva a evitare una concentrazione di potere nel cuore dell’Europa; infatti chi tenesse sotto controllo queste regioni, che si trattasse di una delle grandi potenze europee o di una potenza sorta nella stessa Europa centrale, poteva diventare padrone del continente alleandosi con una sola delle altre potenze europee”76. Dissolto l’Impero Ottomano la Questione d’Oriente sarebbe stata sostituita nel dibattito da quella austro-ungarica; vale a dire, chi avrebbe dominato77 lo spazio slavo “liberato”. Se le varie nazionalità slave appoggiate dall’Impero Russo o gli austro-ungarici dietro cui si intravedeva il Reich Tedesco. Rotto l’equilibrio europeo, basato sull’amicizia russo-tedesca – che datava dalle spartizioni della Polonia del XVIII secolo – ad Est le Guerre Mondiali si sarebbero caratterizzate come conflitto tra Slavi e Tedeschi78.

Di nuovo la rottura di equilibri consolidati (con il crollo del Muro) e la scomparsa di grandi entità multinazionali (la dissoluzione dell’URSS e della Jugoslavia) segneranno una nuova corsa all’integrazione di spazi vuoti. Le guerre di “secessione” iugoslave si situeranno non a caso sul crinale di una grande transizione geopolitica: Della ridefinizione di ruoli e rapporti di forza tra i principali attori a livello mondiale e a livello regionale; Di una ricostruzione funzionale (all’Europa tedesca) dello spazio europeo e balcanico. Proprio quando si ipotizzerà una pacificazione generale, la caduta degli “odiosi” confini, la fine della storia79, l’Europa – anticipando una tendenza mondiale – subirà una regressione identitaria. Dopo una fase di sospensione la storia Europea ricomincerà secondo i suoi vecchi stilemi: dei rapporti di forza, delle alleanze, degli interessi nazionali, delle piccole patrie.

Mentre si vanno realizzando le ultime fasi di allargamento (ad est) e l’Europa si va definendo geograficamente pressoché nella sua forma finale, la crisi economica mondiale e la successiva ripresa hanno reso ancora più evidente la debolezza di una spinta ideale comune alla costruzione europea. Il fantasma che aleggia è quello di uno svuotamento di senso. Nella misura in cui la stabilizzazione-integrazione dei Balcani non sarà un processo puramente tecnico, nella misura in cui si accompagnerà l’integrazione con la ripresa un progetto di costruzione democratica, l’Unione compirà passi in direzione della trasformazione da organo burocratico a organismo democratico80.



16 Cfr. Gianfranco LIZZA, Etnie e frantumazione etnica nei Balcani in La comunità internazionale…, op. cit., p. 57.
17 Una serie di catene parallele che si allungano in direzione est-ovest per 550 Km dal fiume Timok (Serbia) al capo Emine (Bulgaria) sul Mar Nero; alte mediamente 1000 m, culminano nei 2376 m del Monte Botev.
18 Cfr. Georges PRÉVÉLAKIS, I Balcani, Il Mulino, Bologna 1997, p. 14. La Penisola deriva il suo nome da un errore. Fino alla metà del XIX secolo si credeva all’esistenza di una catena montuosa, l’Haemus, che avrebbe dovuto attraversare da est a ovest la parte settentrionale della penisola. Nel 1808 il geografo tedesco Zeune sostituì l’antico Haemus col turco Balkan (Montagna), successivamente attribuito alla catena bulgara che gli Slavi chiamavano Stara Planina (Vecchia Montagna).
19 Cfr. André BLANC, Géographie des Balkans, Puf, Paris 1965, pp.5-6 in G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 17: “Balcanico è tutto ciò che subisce la tirannia dell’ambiente fisico e sopporta il peso del passato […]”. Questo presunto valore paradigmatico delle vicende balcaniche, ha fatto si che si facesse riferimento – non sempre propriamente – alla balcanizzazione, ad esempio, del Medio Oriente o del Caucaso.
20 Cfr. Maria TODOROVA, Immaginando i Balcani, Argo, Trieste 2002. Un’area geograficamente europea, ma culturalmente percepita come altra; A. BLANC, ibid.: “Il termine (Balcani) ha assunto un significato fortemente peggiorativo, e designa tutto ciò che si oppone, per costumi, cultura e tenore di vita, all’Occidente […]”.
21 In una regione che vede periodicamente riaccendersi un nazionalismo a base etnica, l’uso di parole quali Balcani, Balcanico, ecc. – che indicano una pur generica ma comune appartenenza – è quantomeno controverso. Fin dal suo battesimo nel linguaggio ciclicamente ci si è interrogati sull’esistenza e sulle dimensioni di una Regione Balcanica, adducendo di volta in volta giustificazioni di natura geografica, storica o culturale. La mancanza di confini naturali a nord e le vicende storiche hanno favorito certi ricorsi; l’esempio più clamoroso si è avuto durante la Guerra Fredda, con una ripartizione che ricalcava i rispettivi blocchi di appartenenza: Con Grecia e Turchia europea da un lato, appartenenti all’Europa del sud-mediterranea e dall’altro, Jugoslavia e Albania associati indifferentemente assieme agli altri paesi dell’Est europeo. Tuttora la Grecia è considerata sic et sempliciter un paese occidentale; nonostante il ristabilirsi di rapporti intrabalcanici, l’abbia spinta a recuperare la componente orientale del suo carattere. La fine della Guerra Fredda e il revival nazionalistico che ne è seguito, come è noto, non sempre hanno favorito rapporti di solidarietà regionale e hanno generato da parte di alcuni un nuovo disconoscimento della propria balcanicità; così ad esempio per la Croazia e la Slovenia – che si considerano naturalmente mitteleuropei – e per la Romania che rivendica le proprie ascendenze latine.
22 G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 16.
23 Cfr Luigi ANDERLINI, I Balcani e l’Europa, in La comunità…, op. cit., p. 28.
24 Francis CONTE, Gli Slavi, Einaudi, Torino 1990, p. 407.
25 Cfr. G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 23. L’autore parla, citando Braudel, di insularità funzionale : “Con la sola esclusione della parte settentrionale, il mondo balcanico è un mondo atomizzato, dominato nella parte continentale dal mosaico di piccole regioni naturali e nella parte marittima dall’insularità […]”.
26 Cfr. F. CONTE, op. cit., p. 279. Cita G. Vernasky : “La steppa può essere paragonata a un mare, sia sotto il profilo bellico che commerciale. I distaccamenti mobili della cavalleria nomade funzionavano come altrettante squadre navali. E le carovane erano la marina mercantile della zona delle steppe”.
27 Cfr. Joze PIRJEVEC, Serbi, Croati, Sloveni, Il Mulino, Bologna 1995, p. 118. La Jugoslavia Titina avrebbe assolto alla funzione di Stato cuscinetto fra i due blocchi.
28 Cfr. Fernand BRAUDEL, “Histoire et sciences sociales. La longue durée”, Annales E.S.C., XIII, ottobre-dicembre 1958, 4 ed. it. in Scritti sulla Storia, Mondatori, Milano 1973.
29 Cfr. Hagen SCHULZE, Aquile e leoni, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 57. La Pace di Augusta del 1555 sancì per gli Stati imperiali tedeschi – l’omogeneizzazione (religiosa) interna delle regioni – lo ius reformandi e lo ius emigrandi: la popolazione doveva conformarsi alla fede del signore od emigrare verso un paese di diversa confessione. Cfr. Marc BLOCH, Une mise au point: les invasion, “Annales d'histoire économique et sociale”, 1945, I, pp. 23-46 e II, pp. 13-28 in Mélanges historiques, Sevpen, Paris 1963, I, pp. 110-141; ibid., Sur les grandes invasions
“Revue de synthèse historique”, 1945, LX, pp. 55-81 in Mélanges historiques, I, pp. 90-109.
30 Ludwig von Mises in Andrea GRAZIOSI, Dai Balcani agli Urali, Donzelli, Roma 1999, p. 36.
31 Cfr. Pietro NEGLIE, Europa e Balcani fra integrazione, assimilazione e identità nazionali in La comunità…, op. cit., p. 43.
32 Cfr. G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 55. A fronte delle due tradizioni urbane dell’antichità classica – quella delle talassocrazie commerciali greche e quella imperiale-amministrativa (romana) – distingue tre modelli di città balcanica: la città mediterranea, cosmopolita e con funzione commerciale, autonoma politicamente, proiettata verso il mare e con scarsi rapporti con l’entroterra; la città ottomana, multietnica e con funzione militare-amministrativa; le capitali nazionali, nate a partire dal XIX sec. dal dissolvimento dell’Impero.
33 Isnaf (corporazioni).
34 Millet.
35 Zadruga (famiglia allargata o grande famiglia) ? Clan ? Tribù ? Zupa.
36 IX – X secolo.
37 Dal loro territorio originario (le paludi del Pripjat) i Venedi, gli Sclaveni, gli Anti strariparono ad Occidente, come contraccolpo alla spinta da Oriente delle altre popolazioni barbariche e tra VI e VII secolo colonizzarono i Balcani.
38 F. CONTE, op. cit., p. 409, 436.
39 Nel 1453 Maometto II conquista Costantinopoli.
40 G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 37.
41 Cfr. Giuseppe G. FLORIDIA, La costituzione dei moderni, Giappichelli, Torino 1991, p. 32. Cfr. Procopio DI CESAREA, La guerra gotica in F. CONTE, op. cit., p. 224: “Queste popolazioni […] non sono rette da un solo uomo, ma vivono da antico tempo democraticamente e quindi trattano essi sempre in comune ogni faccenda, sia vantaggiosa, sia gravosa”.
42 Liberi di autoamministrarsi, in cambio di una tributo volontario annuale.
43 La Militargrenze / Vojna Krajina (Confine Militare) era una vasta fascia di sicurezza, che correva dalla Dalmazia fino alla Slavonia (e alla Vojvodina). Costituita dall’amministrazione asburgica, a partire dal XVI secolo – per proteggere i territori croati e ungheresi dalle incursioni delle bande turche – lungo le zone di confine dove si erano stabilite le popolazioni serbe fuggite, a più riprese, dalla Serbia storica e dal Kosovo. In cambio del servizio militare permanente, beneficiavano di un particolare regime di libertà: sottratte all’amministrazione del sabor (parlamento) croato e sottoposte direttamente a quella imperiale; nel 1690 avevano ottenuto l’autonomia della “Vojvodina”.
44 VIII secolo.
45 F. CONTE, op. cit., pp. 224 e ss.
46 Millet (parola turca dall’arabo milla, religione). Istituiti durante il regno di Manometto II (1451-1481) con lo scopo principale di integrare, almeno parzialmente, i sudditi non mussulmani nella struttura dell’Impero; avevano competenza oltre che in materia religiosa – guidava il millet la massima autorità religiosa – di giustizia, di diritto di famiglia, di educazione, di servizi sociali. Millet: mussulmano, dei sunniti; il Rum millet (millet dei romani), dei cristiani ortodossi; ebraico; armeno; ecc.
47 Nel nuovo spazio balcanico riunificato e pacificato l’Impero garantiva libertà religiosa, libertà di movimento e protezione dei commerci; tramite le vakif (fondazioni pie) una rete di “servizi sociali”.
48 G. PRÉVÉLAKIS, op. cit, p. 39.
49 Ivi p. 40.
50 Cfr. Eric J. HOBSBAWM, The Invention of Tradition, Cambridge 1983 ed. it. L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987.
51 La Grande Bulgaria dello Zar Simeone (897-927) o la Serbia di Stefano Dusan (1331-1355), Zar de Serbi e dei Greci.
52 Cfr. G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 36.
53 István Deak in A. GRAZIOSI, op. cit., p.70.
54 Si pensi, all’importanza simbolica della nascita-rinascita delle Chiese autocefale – serba, bulgara, rumena – in quanto rinascita nazionale, e l’opposizione delle gerarchie greche.
55 Cfr. F. CONTE, op. cit., p. 479: “Di contro al tempo epico unidimensionale, la civiltà bizantina fece germogliare fra gli Slavi una coscienza storica ben radicata nella ricchezza delle tradizioni locali […]. Meglio ancora, il passato slavo veniva a incorporarsi nell’insieme della storia mondiale, quella bizantina e cioè quella biblica”.
56 Cfr. William G. SUMNER, Costumi di gruppo (1906), Comunità, Milano 1962, p. 17 e ss.: “La concezione per la quale il proprio gruppo è considerato il centro di ogni cosa, e tutti gli altri sono classificati e valutati in rapporto ad esso”.
57 Ibid.: “I membri di un gruppo-di-noi si trovano in una relazione di pace, ordine, legge, governo, industria. La loro relazione con tutti gli stranieri o gruppi-di-altri è una relazione di guerra e di saccheggio, a meno che non siano intervenuti accordi a modificarla”.
In-group (gruppo di appartenenza) ? ? out-group (gruppo esterno).
58 Cfr. Federico CHABOD, L’idea di nazione, Laterza, Bari 1961, pp. 31-33, 68-70. Rispetto alla classica distinzione tra nazionalismo herderiano e renaniano, Chabod individua un nazionalismo naturalistico tedesco con presupposti etnolinguistici e un nazionalismo volontaristico italiano a base culturale-politica.
59 Cfr. G. PRÉVÉLAKIS, op. cit., p. 85.
60 Cfr. H. SCHULZE, op. cit., p. 162. In soli cinquant’anni, tra il 1750 e il 1800 la popolazione europea era passata da 130 a circa 180 milioni; nel 1850 a 266, per arrivare nel 1900 a ben 401 milioni.
61 Ad esempio, quello tra le popolazioni italiane delle città costiere dalmate e istriane e le slave delle campagne.
62 Con la Battaglia di Mohàcs del 1526 l’Ungheria divenne Stato vassallo dell’Impero Ottomano.
63 Con la Pace di Kuçuk del 1774 la Russia, che otteneva il controllo della Crimea e delle foci del Don e del Dniepr, si proiettava con forza sui mari caldi.
64 Cfr. A. BLANC, op. cit., pp. 5-6 : “Con la morte dell’uomo malato si è avuta la balcanizzazione, cioè la spartizione e l’asservimento degli Stati rivali alle grandi potenze in lotta”.
65 Con la Pace di Karlowitz del 1699, l’Austria diventava forza dominante nei Balcani: Spingendosi a sud, fino al nuovo confine Tibisco-Danubio-Sava-Una; ottenendo, liberta di commercio per i mercanti austriaci e libertà di culto per i sudditi cattolici della Porta, di cui si considerava protettrice e a favore dei quali si riservava di intervenire.
66 Un primo impulso riformatore si potrebbe rintracciare già sotto il sultanato di Ahmed III (1703-1730), nella lotta al contropotere destabilizzante dei Giannizzeri.
67 Valentin Vodnik (1758-1819) in F. CONTE, op. cit., p. 546 : “Napoleone ha detto: “Destati Illiria”. / L’Illiria si sveglia e si interroga in un sospiro: / “Chi mi chiama ancora? / Sei tu grande eroe?” / Quattordici secoli è durato il letargo dell’Illiria sotto il verde muschio”.
68 Col Trattato di Schönbrunn del 1809 nasce il Governatorato delle Province Illiriche con capitale Lubiana, comprendente: Trieste, Gorizia, Carniola, Istria, Carinzia Occidentale, parte della Croazia, Dalmazia, Ragusa e Bocche di Cattaro.
69 Con il Khatt-i humayun (1856) ‘Abd ul-Megid I (1839-1861) aboliva i poteri civili delle gerarchie religiose.
70 Cfr. H. SCHULZE, op. cit., p. 242: “[Francia e Inghilterra] si adoperavano per sfruttare la forza dirompente del nazionalismo allo scopo di conseguire vantaggi strategici in politica estera”.
71 Cfr. Leften Stavros STAVRIANOS, The Balkans since 1453 (1958) in Georges CASTELLAN, Histoire des Balkans XIVe - XXe siècles, Fayard, Paris 1991 ed. it. Storia dei Balcani : XIV-XX secolo, Argo, Lecce 1996.
72 Il Trattato di Parigi del 1856 sanciva l’internazionalizzazione del Danubio e la neutralizzazione degli Stretti e del Mar Nero: si aprivano i “mercati” balcanici alle potenze industriali in crescita. Nel 1874 a seguito del collasso finanziario dell’Impero s’instaurava un regime di amministrazione controllata, inglese, sul bilancio.
73 Al Congresso di Berlino Bismarck aveva proposto pragmaticamente, intuendo il potenziale di crisi della questione orientale, un piano di “spartizione” per il Vicino Oriente, in cui: Alla Russia sarebbero andati i Balcani Orientali e Costantinopoli; All’Austria-Ungheria i Balcani Occidentali e Salonicco; alla Gran Bretagna l’Egitto e il Canale di Suez.
74 Nel 1899 iniziarono i lavori per la costruzione della ferrovia Berlino-Baghdad.
75 Cfr. Giancarlo GIORDANO, Storia della politica internazionale, Franco Angeli, Milano 1994, p.63. La “dottrina britannica di sicurezza dell’impero” sanciva l’inviolabilità perpetua degli Stretti, di Costantinopoli, del canale di Suez e del Golfo Persico.
76 H. SCHULZE, op. cit., p. 238. Cfr. Andreas HILLGRUBER, La distruzione dell’Europa. La Germania e l’epoca delle guerre mondiali (1914-1945), Il Mulino, Bologna 1991.
77 Ivi, p. 358: “La storia europea può essere letta come il tentativo ricorrente di ristabilire la perduta unità continentale attraverso l’instaurazione dell’egemonia di uno Stato”.
78 Cfr. A. GRAZIOSI, op. cit., p. 64.
79 Cfr. Francis FUKUYAMA, La fine della storia e l’ultimo uomo (1992), BUR, Milano 2003.
80 Cfr. Ralf DAHRENDORF, Dopo la democrazia, Laterza, Roma-Bari 2001: “Ci troviamo di fronte all’assurdo storico di aver creato qualcosa anche al fine di rafforzare la democrazia, e di averla creata in un modo che è intrinsecamente non democratico”.
81 Giuseppe GARIBALDI, Messaggio alle genti slave (1862) in Mario PACOR, Italia e Balcani. Dal Risorgimento alla resistenza, Feltrinelli, Milano 1968, p.10.